Dieci domande al fotografo di oggi…

D
D per Diaframma Magazine

abbiamo il piacere di ospitare:

FERDINANDO FASOLO…

1. Complimenti per le sue fotografie.
Grazie!

Come nasce la sua passione per la fotografia?

Pensavo fosse una cosa irraggiungibile per me, il fotografare, una cosa da “pochi eletti” ed invece scoprii che non era così durante un viaggio in Egitto molti anni or sono, dove la maggior parte dei componenti del gruppo di viaggio possedeva una macchina fotografica. Questi scattavano fotografie di tutti i tipi, dal paesaggio al ritratto, dalla foto del monumento a quella dell’amico sulle dune. A volte guardavo anch’io attraverso il mirino della reflex prestatami da un amico e la cosa mi incuriosì ed affascinò a tal punto che, una volta a casa decisi di comprarmi una macchina fotografica. Presi una Contax 159mm e fu così che cominciai a fotografare.
2. La sua formazione fotografica?

All’inizio scattavo a caso, foto della città senza niente di preciso in testa, più che altro per prendere confidenza con la macchina fotografica e vedere che cosa ne veniva fuori; non aveva molta importanza, allora, cosa o chi fotografavo, scattavo in continuazione perché tutto si mostrava insolito e importante. Ogni situazione, ogni soggetto, ogni luogo, mi sembrava tutto nuovo e tutto diverso dal precedente e questo stimolava molto la mia curiosità nel vedere poi l’immagine rivelata.
Poi scoprii i colli Euganei e divennero la mia scuola. Ci andavo spesso, con qualsiasi tempo e in qualsiasi periodo dell’anno. Mi piacevano molto i paesaggi, i cieli carichi di pioggia in primavera o le giornate di nebbia, dove s’intravedevano a mala pena le forme degli alberi o i seducenti colori dell’autunno. Imparai moltissimo, dalla scelta dell’inquadratura alla scelta del soggetto, dal colore della luce che variava durante la giornata ai contrasti che creava la luce stessa, ma soprattutto scoprii e capii che questa “cosa” il fotografare, mi piaceva. E molto.
3. Quali sono i maestri classici o grandi maestri della fotografia che più ammira?

Edouad Boubat, Sergio Larrain Elliott Erwitt….
Un fotografo che mi ha molto ispirato è Edouard Boubat: Leggendo Boubat, mi accorgo che c’è molta sintonia tra il mio modo di muovermi, fotografare e il pensare la fotografia e il suo. Anche lui, quando inquadrava, era senza proiezioni, senza volontà, senza intenzione, senza ricordo. Il soggetto che fotografava si impossessava di lui e tutto nella foto diventava poesia. Per vedere un viso, per avere una condivisione dell’attimo poteva aver fatto migliaia di chilometri o poche centinaia di metri ma non sentiva la stanchezza morale o fisica perché sapeva che prima o poi una foto, la foto, sarebbe arrivata; è l’arte dell’abbandonarsi, dell’accettare la provvidenza, dell’accettare i regali della vita. Per me è lo stesso: cammino, mi perdo tra la gente e aspetto, senza inquietudine o apprensione, l’importante è che io sia pronto quando la foto è lì, davanti a me.
4. Che tipo di fotografia preferisce?

La fotografia del quotidiano
5. Hai una galleria on-line dove possiamo vedere le tue foto?

www.mignon.it
6. Come sceglie i temi che poi rappresenta?

Non ho temi; sono le foto di tutti i giorni quelle che prediligo, cercando, nell’uomo, la bellezza, l’indifferenza, la banalità, nel tentativo di mettere assieme situazioni completamente scombinate tra loro in modo armonico.
7. Si considera più tecnico o artista?

Fotografo
8. Qual è la sfida di ogni nuovo scatto?

Non vivo sfide ma fotografo semplicemente perché ne sento la necessità. E’ il mio modo migliore per comunicare con le persone e questo mio modo di fotografare si specchia molto nella Street Photography americana e nella Fotografia Umanistica europea. Dalla prima ho preso “l’ambiente”, la strada, il teatro straordinario dove tutto si crea e si fonde in maniera fortuita, spontanea, a volte magica. Dalla seconda ho preso la poesia, l’interesse per l’essere umano e la sua esistenza, ponendomi in maniera empatica di fronte alle più semplici azioni d’ogni giorno, raccogliendo scatti dove l’uomo non è mai oggetto di denigrazione ma è valorizzato proprio in quanto essere umano. Lo stile del mio lavoro fotografico può essere definito “classico” perché lo studio dei grandi fotografi del passato e la concezione umanistica della realtà mi hanno molto influenzato, portandomi ad indagare l’uomo nel suo quotidiano, registrando la realtà non in modo impersonale e generico ma profondo e intimo, ponendo un’attenzione particolare anche alla forma e alla geometria dell’immagine.
9. Spesso uno scatto fotografico riesce a descrivere una situazione meglio di molte parole.

Che cosa è necessario per poter cogliere l’attimo giusto?
Sono un fotografo istintivo ma nell’istante dello scatto controllo tutto dell’immagine che ho davanti, soggetto e sfondo, e cerco di giustapporre, in modo armonico, le due cose, più questo riesce e più la foto funziona. Per far ciò, spesso bisogna non lasciarsi influenzare dal meraviglioso soggetto che si ha davanti, non si può farlo, è un delitto, bisogna rimanere freddi, concentrati. Quante volte abbiamo visto foto di amici con soggetti meravigliosi ma che poi non reggono o non funzionano perché ci si accorge che dietro c’è qualcosa che disturba il tutto? Non si può lasciarsi travolgere dall’estasi del momento e non vedere l’insieme se funziona.
10. Che portali online di fotografia frequenta di solito?

Nessuno…

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